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Guerra d'indipendenza d'Italia



30 - 31 maggio 1859

Descrizione

Il maresciallo Canrobert, comandante del 3° corpo delle truppe francesi che combatterono a fianco di quelle piemontesi durante la Guerra di Indipendenza d’Italia del 1859, nelle sue memorie descrive il passaggio da Prarolo come segue.
“Lunedì 30 maggio, il maresciallo Canrobert lascia la sede di Casale e si porta sulla riva del Po. In un’alba grigia, ai pallidi barlumi di luce che forano l’orizzonte, le teste delle colonne del suo corpo d’armata escono dai ponti levatoi di Casale per dirigersi al fiume. La fanteria si inoltra sul ponte metallico, che due giganteschi piloni sostengono a 25 metri al di sopra dell’acqua. L’artiglieria forma una colonna a parte e si dirige, con il suo rumore sordo e continuo, verso il ponte di barche.
Giunto dall’altra parte del fiume, il maresciallo si ferma di nuovo a lato della strada per veder passare i suoi reggimenti; a più riprese parla ai soldati ed essi gli rispondono allegramente. Quindi, passando a lato delle due colonne, galoppa verso il villaggio di Prarolo, attraversando una terra boscosa. A mezzogiorno, in una piana bassa, umida con una vegetazione rigogliosa, incontra un piccolo villaggio nascosto tra roseti, glicini e gelsomini: è Prarolo. All’altezza della prima casa, due persone con abiti di foggia d’altri tempi, gli si avvicinano e lo salutano. Uno è il sindaco [avvocato Luciano Scappa, sindaco di Prarolo dal 1858 al 1866]; l’altro, in abito talare, calzoni corti, scarpe con fibbia e un cappello tondo sotto il braccio, è il curato [don Giuseppe Giordano, vicario di Prarolo dal 1853 al 1898]. E’ proprio nella casa parrocchiale che il maresciallo deve alloggiare e chiede al parroco di condurvelo.
Verso le tre, il maresciallo monta a cavallo ed ispeziona i terreni dove cominciano ad arrivare le sue truppe per accamparsi. Una colonna arriva sulla riva del fiume e si ferma laddove precedentemente erano stati piantati dei paletti. In un batter d’occhio i pontieri saltano giù dalle loro 'carrozze' [le barche] e le mettono in acqua; il fiume è solcato in ogni direzione e tre ponti vengono gettati. Verso le quattro scoppia una furiosa grandinata; tutto è rovinato e gli accampamenti diventano laghi; non si può nemmeno cercare riparo, l’acqua è ovunque.
Sono le due del mattino e il maresciallo Canrobert dorme tranquillamente sotto l’ospitale tetto dell’eccellente curato di Prarolo, quando un ufficiale dei pontieri chiede di potergli parlare. Lo si fa entrare ed egli informa il maresciallo che il temporale del tardo pomeriggio ha gonfiato tutti i torrenti delle Alpi e che il livello della Sesia sale a vista d’occhio: è già cresciuta di un metro. I ponti non reggono più; si è cominciato a smontarne due e si cerca di allestirne uno solo utilizzando i tre. Se la piena non aumenta troppo si potrà passare alle 7 del mattino. Il maresciallo si alza e si reca ai ponti. La notte è scura e sulle sponde si sono accese fascine le cui vigorose fiamme si riflettono sulle acque tumultuose e ribollenti del fiume. Al chiarore rossastro di questi fuochi e a quello delle torce fissate a pali, i pontieri lavorano: le loro sagome nere rischiarate dai bizzarri riflessi li fan sembrare diavoli che si agitano in una fantastica scena infernale.
Sorge il giorno; si lavora ancora ai ponti. Il maresciallo, rimasto sulla riva, valuta la possibilità di passare. Un ufficiale del Re viene ad informarlo che gli Austriaci, sconfitti il giorno prima, stanno tornando in gran numero per riprendersi le postazioni perdute; alcuni paesani che li hanno visti prendere le armi ed accingersi a muoversi, sono corsi ad avvisare. Impazienti come il maresciallo, le truppe sono radunate e pronte a passare. Attendono sulla riva del fiume e osservano con ammirazione gli sforzi dei pontieri e la violenza dei flutti ribollenti che scorrono velocissimi versi sud. Alle 7, il capitano dei pontieri annuncia che si può cominciare ad attraversare: i suoi uomini penseranno al consolidamento del ponte man mano che le colonne passano; all’estremità bisognerà traversare a guado un braccio di fiume straripato che non si è potuto completamente colmare con fascine.”




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